Lo sviluppo industriale inclusivo e sostenibile è la prima fonte di generazione di reddito; esso permette un aumento rapido e sostenuto del tenore di vita delle persone e fornisce soluzioni tecnologiche per un’industrializzazione che rispetti l’ambiente. Il progresso tecnologico è alla base degli sforzi per raggiungere obiettivi legati all’ambiente, come l’aumento delle risorse e l’efficienza energetica. Senza tecnologia e innovazione, non vi sarà industrializzazione, e senza industrializzazione non vi sarà sviluppo. Tra i traguardi dell’Obiettivo 9 troviamo anche quello di promuovere un’industrializzazione inclusiva e sostenibile e aumentare significativamente, entro il 2030, le quote di occupazione nell’industria e il prodotto interno lordo e aumentare la ricerca scientifica, migliorare le capacità tecnologiche del settore industriale in tutti gli stati nonché incoraggiare le innovazioni.
Grazie agli splendidi oggetti conservati nel Museo di Macchine "Enrico Bernardi", nel Museo Giovanni Poleni e nelle collezioni scientifico-tecnologiche diffuse dell'Università di Padova possiamo raccontare una pagina interessante della storia dell'industrializzazione, o meglio, della mancata industrializzazione del Veneto nel corso del XIX secolo. Nelle collezioni del Dipartimento di Ingegneria, Civile Edile e Ambientale e nel Museo Poleni sono conservati numerosissimi strumenti costruiti da "artigiani della scienza", ovvero i meccanici che lavorarono per l'Università di Padova, in particolar modo per il Gabinetto di Fisica e la Specola, o per le scuole superiori della regione. Nonostante le abilità di questi artigiani, e l'importantissimo ruolo da essi svolto per lo sviluppo e la diffusione delle conoscenze scientifiche, in Veneto non si sviluppò mai una fiorente industria di costruzione di strumenti di precisione, a differenza di quanto avvenuto per esempio in Francia o in Germania. Perché? Proprio a causa della mancanza di finanziamenti e di sostegno statale, oltre che per la situazione di arretratezza generale in cui versava la regione. Il caso più eclatante di mancato sviluppo dovuto ad un contesto sfavorevole e alla mancanza di investimenti è sicuramente quello legato a Enrico Bernardi, genio inventivo e pioniere dell'automobile italiana. Bernardi fondò, insieme agli ingegneri Giacomo Miari e Francesco Giusti, la prima casa automobilistica italiana nel 1894. L'azienda doveva produrre e commercializzare la vettura progettata da Bernardi stesso, ma venne messa in liquidazione già nel 1901, decretando il fallimento dell'iniziativa. Bernardi si trasferì quindi a Torino, chiamato a lavorare per una ditta che ebbe tutt'altra fortuna: la FIAT. 

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Testo a cura di: Fanny Marcon