L’eliminazione delle discriminazioni nei confronti di donne e ragazze, uno dei traguardi chiave dell’Obiettivo 5, passa anche attraverso il riconoscimento del loro ruolo nella Storia: civile, anzitutto, e poi in particolare universitaria. Da più parti all’interno del nostro Ateneo, specialmente in anni a noi vicini, si sono compiute e si stanno tuttora portando avanti ricerche e proponendo iniziative volte a colmare la “rimozione” del femminile, raccontando la spesso invisibile presenza delle donne nella storia accademica: Elvira Poli (1893-1977), prima donna laureata in ingegneria a Padova; Silvia De Marchi (1897-1936), brillante allieva del primo docente di psicologia patavino Vittorio Benussi; l’educatrice e filantropa Stefania Etzerodt sposata Omboni (1839-1917) o la fisica sperimentale Milla Baldo Ceolin (1924-2011) sono solo poche emergenze di un panorama quantitativamente e qualitativamente rilevante, ancora in gran parte da esplorare.
 
La tappa ci invita a conoscere altre figure femminili, le cui vicende sono variamente intrecciate a quelle del patrimonio storico-artistico del nostro Ateneo. Incontriamo per prime le “PADRONE DI CASA”: due nobili dame, che abitarono i palazzi storici oggi divenuti prestigiose sedi universitarie. Oscurate dal prevaricante interesse degli studiosi per i loro consorti, le storie di queste donne, quando finalmente ricostruite, potranno certo aiutarci a comprendere precipue scelte iconografiche e soluzioni architettoniche talora inattese.
Si pensi al ruolo che dovette aver giocato Elisabetta Duodo, figlia di Pietro, nel complesso decorativo di Palazzo Cavalli: sposa di Federico Cavalli in data 9 settembre 1673, Elisabetta portava la cospicua dote di 40.000 ducati. La nuova disponibilità economica, pur nel procrastinarsi dei pagamenti, giustifica l’impegnativo cantiere di ammodernamento e abbellimento del palazzo patavino, il cui ciclo iconografico, affidato dapprima al pittore padovano Michele Primon e quindi ai due artisti emiliani Giacomo Parolini e Anton Felice Ferrari insieme al maestro francese Louis Dorigny, risalta per la rilevante attenzione ai soggetti femminili. Nel 1730, vedova e senza eredi maschi - Jacopo era morto in fasce, come le sorelle Cecilia e Chiara -, in rispetto del fidecommisso imposto dal patriarca Marino Cavalli nel lontano 1571, Elisabetta fu costretta a cedere la proprietà ai fratelli Marino Antonio e Giacomo Cavalli, la cui figlia, Elisabetta, giovane “di singolarissime virtù”, nel 1743 portò in dote Palazzo Cavalli al patrizio Girolamo Francesco Bollani.
La fitta corrispondenza tra committente e architetto ben precisa invece la centralità di Francesco Revedin nelle scelte decorative compiute da Giambattista Meduna per la villa di Castelfranco Veneto. La ricostruzione delle vicende biografiche della moglie Teresa Comello (1832-1882), figlia del ricco possidente Valentino e dal 6 febbraio 1850 sposa del conte, potrà però forse aiutare a risolvere uno dei “misteri”, legati a questo complesso: in contatto con l’intelligentia castellana dell’epoca, dal «filoglotto» Jacopo Trevisan ai coniugi Armando ed Erminia (Fuà) Fusinato, fino all’esilio toscano del 1864 suoi assidui ospiti, la «sonnacchiosa» Teresa risulta essere stata una apprezzata dilettante. Alla morte di Francesco (22 gennaio 1869) ella ottenne in usufrutto non soltanto diversi ambienti del palazzo padronale, altrimenti di proprietà dell’erede universale Fanny Bassetti Rinalsi, ma anche un «Teatro e […] locali addetti, eseguiti nel Borgo di Treviso in Castelfranco al mappale N. 351», di cui non resta traccia se non nei documenti.
 
Attraverso Villa Revedin, poi Rinaldi e infine Bolasco, conosciamo anche la prima delle nostre “DONATRICI”: Renata Mazza (1888-1989), figlia del generale Enrico Mazza e di Margherita Pegolo, nel 1913 convolata a nozze con il conte Pietro (Rino) Bolasco Piccinelli. Il 10 marzo 1967 Renata donava in lascito testamentario alla nostra Università la villa con le sue adiacenze e il meraviglioso giardino storico, realizzati su quelle che un tempo erano state le proprietà Cornaro “al Paradiso”.
Spetta invece ad Augusta Luzzato Dina (1898-1989), dal 1923 sposa del marchese Antonio de Buzzaccarini, la donazione all’Ateneo dell’ex palazzo Selvatico-Estense in via Vescovado, oggi una delle sedi DiSSGeA. Figlia di Jacopo e Giulia Rameg, cresciuta in una delle più ricche famiglie israelitiche dell’epoca, dopo la perdita dell’unico figlio Galeazzo Augusta esercitò con successo la pratica scultorea con il nome d’arte Galastena: fu allieva dapprima di Paolo Boldrin e quindi di Emilio Greco, partecipò alle Biennali Trivenete e a quella bolognese d’Arte Sacra, alle Mostre Internazionali del Bronzetto a Padova e al Salon International d’Art Sacré del Musée d’Art Moderne di Parigi. L’Università conserva diversi suoi lavori, tra cui i busti di Giovanni Battista Belloni e di Ernesto Belmondo presso la Clinica Neurologica, di Arturo Cronia nella Basilica di Palazzo Bo, di Carlo Diano a Palazzo Liviano, di Luigi Stefanini presso la Biblioteca di Filosofia in Palazzo del Capitanio e del Rettore Giuseppe Gola in Orto Botanico; da ricordare inoltre le quattordici formelle a bassorilievo bronzeo della Via Crucis, che dal 1957 ornano le pareti della Cappella della Clinica Ostetrica.
Meritano quindi di essere ricordati i “Comitati di Signore e Signorine” costituitisi presso le città di Trieste, Trento, Fiume, Vicenza, Udine e Verona con lo scopo di “concretarsi una forma di partecipazione loro alle solennità per il VII centenario di questo studio patavino”: era, ovviamente, il 1922 e grazie al loro contributo “le varie Facoltà e Scuole universitarie” poterono essere dotate “di un proprio labaro da usare dagli studenti nelle funzioni accademiche”. Nella stessa occasione le “Signore Padovane” fecero invece dono all’Università di due mazze d’argento, conformi a quelle antiche trafugate durante i rivolgimenti che erano seguiti alla caduta della Repubblica Veneta: tra le sottoscrittrici, accanto alle rappresentanti dell'élite cittadina, molte le figure più strettamente legate all’Ateneo, come Fanny Pontil moglie del geologo e paleontologo Giorgio Dal Piaz, Giuseppina Turazza figlia dell’ingegnere idraulico Domenico e moglie del matematico Antonio Favaro o l'archeologa Clelia Vinciguerra, consorte di Carlo Anti, l’archeologo e futuro Rettore allora appena giunto a Padova.
 
Nei grandiosi lavori di ampliamento e rinnovamento di Palazzo Bo, avviati sotto la sua guida, eccezionale e pressoché misconosciuta la partecipazione delle “ARTISTE”, a partire dal contributo dato da Lisa Ponti (1922-2019) all’impresa pittorica del padre Gio. Primogenita dell’architetto e designer milanese, Lisa fu sua fedele collaboratrice non solo alla redazione delle riviste Stile e Domus, ma anche nella travagliata decorazione a fresco della Scala del Sapere (1941), per la quale troppo spesso vengono citati come unici aiutanti Giovanni Dandolo e Fulvio Pendini.
Ancora ragioni famigliari giustificano la presenza negli ambienti del Rettorato di un’opera di Mimì (Emma) Buzzacchi (28 agosto 1903- 16 giugno 1990), aristocratica medolese trasferitasi giovanissima a Ferrara, dove frequentò scrittori e artisti come Corrado Govoni, Giorgio Bassani, Filippo De Pisis e Achille Funi: a quest’ultimo in particolare la unì un profondo rapporto umano e professionale, consolidato nella seconda metà degli anni Trenta dalla comune partecipazione al programma di opere pubbliche in Libia promosso dal governatore Italo Balbo, sodale del giornalista Nello Quilici, che Mimì aveva spostato nel 1929. Proprio al marito e a Balbo, periti insieme nel 1940 durante un volo aereo su Tobruk, l’artista scelse di dedicare un doppio ritratto su tavola, inizialmente ospitato nello sguancio sinistro del portale d’accesso all’Aula Magna dalla Sala dei Quaranta, che evidenziasse i legami dei due con l’Ateneo patavino (Quilici in quanto docente, Balbo perché insignito nel 1933 di una laurea honoris causa in Ingegneria).
Spostandoci quindi in un altro dei cantieri promossi da Anti, un’ulteriore occasione di riflessione sul contributo artistico delle donne alle imprese dell’Ateneo viene offerto dal grandioso affresco di Massimo Campigli nell’atrio di Palazzo Liviano: nel tratto sinistro, al di sopra del pianerottolo della prima rampa di scale, l’artista raffigura se stesso, il committente (appunto, Carlo Anti) e l’architetto (Gio Ponti, che così pervicacemente aveva promosso il suo intervento); ma è presente anche una quarta figura, in abiti maschili e con in mano dei disegni progettuali. È la scultrice comasca Giuditta Scalini (1912-1966; dal 1936, in Campigli), il cui ruolo nella realizzazione dell’affresco è però ancora tutto da precisare.   

L’ostracismo nei confronti delle artiste all’interno del grande cantiere universitario si inserisce nella generale profonda regressione della condizione femminile in Italia durante il Ventennio, già oggetto di ampi studi.
Contribuisce ulteriormente alla diffusione dell’ideale muliebre fascista il tema proposto nella Sala delle Studentesse, che affaccia sul Cortile Nuovo di Palazzo Bo: affidato al pittore padovano Antonio Morato, l’affresco rappresenta, secondo le indicazioni di Anti, “tre diversi tipi della femminilità studiosa”. L’apparente apertura a un diverso ruolo della donna rispetto a quello di moglie e madre esemplare, imposto dal Regime, viene subito negata dall’associazione alle figure di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia e Gaspara Stampa di attributi tesi a risaltarne le virtù “donnesche”: della “poetessa appassionata” si apprezza la dedizione alla poesia, e all’amore; della “pensatrice profonda” l’impegno nella filosofia, e nelle opere di carità. Il “programma di vita” per eccellenza resta in tutti i casi quello rappresentato dalla “grande Madre romana”, la colta Cornelia genitrice dei Gracchi, che è posta in primo piano entro un’edicola con alla base la lapalissiana epigrafe “Domi mansit / lanam fecit”. Per la giovane studentessa fascista la formazione universitaria non era dunque funzionale all’assunzione di un ruolo pubblico né doveva risultare motivo di vanto personale, quanto limitarsi a nobile complemento di un’esistenza votata alla famiglia, all’educazione dei figli, alla custodia del focolare.
 
In questo veloce percorso attraverso la rappresentazione delle donne del patrimonio storico-artistico di Ateneo una sezione a sé avrebbero meritato anche “LE STUDIOSE”: le prime storiche dell’arte che con le loro ricerche, i loro scritti, la loro passione hanno saputo dar voce ai capolavori, di cui siamo circondati, offrendone inedite narrazioni. Ciò che ci siamo proposti è però soltanto un primo dissodamento di un terreno quanto mai fertile, sorprendentemente plurale.

Biblio-sitografia di riferimento

Per le figure e le opere approfondite nelle schede reperto si rinvia alla bibliografia lì segnalata. 

Una puntuale descrizione dei labari, oggetto di un recente restauro, in: https://www.ottocentenariouniversitadipadova.it/storia/i-labari-della-sa.... La documentazione relativa alla consegna è conservata presso l’Archivio Generale di Ateneo, presso cui è consultabile anche l’atto di consegna delle mazze d’argento e l’Elenco delle signore sottoscrittrici per le mazze d’argento (fasc. 60). 

Su Mimì Quilici, cfr. R. Picello, Mimì Quilici Buzzacchi a Ferrara tra arte e critica 1921-1942, in “tecLa. rivista di temi di critica e Letteratura artistica”, n. 6, 22 dicembre 2012, pp. 128-146, con relativa bibliografia. In merito alla vicenda relativa al ritratto di Quilici e Balbo, cfr. la sezione relativa all’artista in Il miraggio della concordia. Documenti sull’architettura e la decorazione del Bo e del Liviano: Padova 1933-1943, a cura di Marta Nezzo, Canova, Treviso 2008, pp. 806-812. 

Tra gli interventi di restituzione del ruolo femminile nella storia dell’Ateneo, si segnalano il recente Raccontami di lei. Ritratti di donne che da Padova hanno lasciato il segno, a cura della redazione de Il Bo Live, Padova University Press, Padova 2020; e di prossima uscita per l’editore Donzelli, L’Università delle donne. Accademiche e studentesse dal Seicento a oggi, a cura di Andrea Martini e Carlotta Sorba. 

I profili biografici delle studiose segnalate a introduzione del presente contributo si possono consultare ai seguenti indirizzi: 
https://www.elvirapoli-unipd.it/
https://www.dpg.unipd.it/sites/dpg.unipd.it/files/13_silviademarchi.pdf
https://www.museoeducazione-didattica.it/stefania-omboni
https://ilbolive.unipd.it/it/news/milla-nuova-fisica-padova

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Testo a cura di: Chiara Marin, Isabella Colpo, Maria Cecilia Lovato, Centro di Ateneo per i Musei