Il contrasto al crimine nel settore dei beni culturali è strettamente connesso all’accesso alla giustizia garantito per tutti e alla presenza di istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli come prefigurato nell’ Obiettivo 16. Il raggiungimento dell’equità e della giustizia sociale, il ripristino della pace nei Paesi in conflitto attraverso la costituzione di Istituzioni efficaci, sono elementi che consentono agli Stati di contrastare più efficacemente anche gli illeciti nel settore dei beni culturali. In particolare l’obiettivo 16.4 sollecita l’impegno di ciascun Paese a ridurre tutte le forme di violenza, combattere la criminalità in tutte le sue forme organizzative, eliminare la corruzione e i flussi finanziari e di armi illeciti, rafforzare il recupero e la restituzione dei beni rubati.
Tra le forme di criminalità organizzata, Il traffico illecito dei beni culturali, spesso connesso al saccheggio di siti e monumenti anche con scavi clandestini, produce ogni anno non solo devastanti conseguenze sul patrimonio mondiale ma fornisce anche ingenti ricavi alle maggiori associazioni criminali. Dal punto di vista culturale e sociale l’immissione di questo patrimonio mobile di provenienza illecita in circuiti economici scinde irreversibilmente il legame dei reperti con il loro contesto originale e priva gli stessi e le comunità di riferimento di parti importanti della loro storia e della loro identità. La costante domanda di beni archeologici sul mercato internazionale ha anche un altro esito, ovvero la produzione di oggetti falsi, che vengono realizzati con tecniche sempre più aggiornate da parte dei falsari. L’inserimento di questi oggetti nel mercato, quasi sempre assieme a beni autentici, oltre a generare proventi illeciti, come già detto, ha effetti nefasti anche dal punto di vista culturale e della considerazione dei beni autentici.
La provenienza e l’autenticità degli oggetti sono dunque alcune fra le principali incognite del mondo dell’arte e dell’archeologia. Gli archeologi e gli storici dell’arte si interrogano sull’origine dei manufatti, sulle loro qualità artistiche o sulle informazioni che essi ci trasmettono su uno specifico autore, su una determinata società o su un particolare periodo storico.
Queste stesse domande vengono affrontate quotidianamente anche nei musei, spesso raccoglitori di molteplici collezioni formate nel tempo e nelle modalità più diverse (dagli scavi archeologici alle donazioni di privati cittadini, dall’acquisizione al comodato, ecc.), i quali devono garantire a questi beni condizioni di conservazione, fruizione e valorizzazione nella legalità. Nasce così un vero e proprio filone di ricerca sui cosiddetti “studi sulla provenienza”.
Dal 2018, il Progetto MemO (Dipartimento dei Beni Culturali) ha avviato una campagna di indagine per la ricostruzione delle biografie degli oggetti da collezione, partendo volutamente dal Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte. Questa narrazione degli oggetti ha ricadute cruciali in molteplici campi d’azione del museo: consente di studiare il fenomeno del collezionismo e le sue strette connessioni al commercio dei beni culturali e alla falsificazione; apre alle applicazioni tecnologiche e alla formazione di esperti in autenticazione e costituisce in generale un repertorio di buone pratiche per la prevenzione delle situazioni di illecito e la diffusione della cultura della legalità nelle comunità di riferimento.
Con riferimento al materiale vascolare preso in considerazione dal progetto, incontriamo dapprima la più antica collezione del museo, la collezione Mantova Benavides, un nucleo collezionistico che risale alla collezione privata dell’omonima famiglia, costituitosi nel Rinascimento a Padova e poi giunto tramite la donazione di Antonio Vallisneri jr all’Università di Padova nel 1733. Tra i pochi vasi antichi si ritrovano anche due vasi all’antica, ovvero vasi rinascimentali prodotti ad imitazione di crateri a campana italioti. Un esempio eloquente è il cratere con raffigurazione dell’allegoria della Giustizia che appartiene al filone rinascimentale degli studi sull’antico e in tal senso riprende la forma e la decorazione secondaria da quelle dei vasi antichi in collezione. Le scene figurate principali tuttavia sono moderne e trovano puntuali riscontri in temi e soggetti delle arti maggiori contemporanee del sec. XVI, in particolare la figura del guerriero è una citazione dal ciclo pittorico di Sala dei Giganti in Padova (1540).
Al collezionismo recente appartiene invece un’altra collezione del museo, quella dei coniugi Michelangelo Merlin e Oplinia Hieke, regolarmente notificata e donata all’Università di Padova nel 2006 per disposizione testamentaria. La collezione, che conta 138 oggetti, comprende ben 105 vasi tra cui ceramiche: greche di produzione corinzia e attica; a vernice nera; di produzione italiota, lucana ma soprattutto apula; sovraddipinte e della produzione nello stile di Gnathia. Tutti i pezzi sono privi di dati di provenienza e gli studiosi hanno restituito una storia a questi oggetti attraverso l’osservazione e il riscontro delle tecniche di produzione, della forma, della decorazione, dell’utilizzo in antico ma anche dei restauri, antichi e moderni. Un esempio di studio tradizionale è quello su alcune pelikai, specie di anfore destinate a contenere probabilmente olio, il cui utilizzo, già noto in ambito greco (Attica), ebbe larga diffusione in ambito coloniale magnogreco, forse con qualche connotazione collegata alle ritualità del mondo femminile. A riti di passaggio in particolare, riconducono le scene figurate della pelike Merlin37.
Tuttavia, anche la Collezione Merlin-Hieke non è risultata incolume dal meccanismo della falsificazione, qui chiaramente intenzionale ed eseguita con cura, che ha ingannato il collezionista, pur attento e scrupoloso. È giunto pertanto in collezione anche un vaso ceramico in stile di Gnathia che presenta alcune anomalie sia per quanto riguarda la forma sia nella loro decorazione. Il manufatto Merlin110, in particolare, evidenzia sia nella cottura, sia negli elementi decorativi caratterizzanti, sia infine nella produzione dell’intera forma, modalità operative anomale e non particolarmente diffuse in questo periodo e per questa classe ceramica. Sebbene l’oggetto intenda imitare un vaso antico, commercializzato fra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., esso è in realtà un prodotto contemporaneo, realizzato molto probabilmente nel Secondo dopo guerra. La rilevazione del fenomeno è stata possibile grazie agli studi di autenticazione.
Il museo, istituzione che opera per sua natura nella legalità, è in contatto costante con gli Organi preposti alla tutela (Ministero della Cultura-Soprintendenze). Al Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte negli anni ’50 del secolo scorso è stato affidato un nucleo di oggetti recuperati dall’Arma dei Carabinieri nel comune di Comacchio (FE), di provenienza illecita, da scavi clandestini nella necropoli dell’antica città di Spina. Tra il materiale vascolare anche un cratere attico (K24). Il recupero alla legalità di questi beni e l’affidamento al museo ne ha consentito non solo la conservazione ma anche lo studio e la valorizzazione.
Il Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte non è solo un luogo di conservazione degli oggetti ma è anche luogo di produzione di conoscenza, grazie a progetti condivisi come il Progetto MemO, e di diffusione della stessa ad un più vasto pubblico. Formare nuove professionalità di alta specializzazione nel campo dei Beni culturali e diffondere la consapevolezza dell’importanza della cura del patrimonio e della tutela dei Beni culturali come Beni comuni, costituiscono strumenti potenti di contrasto del traffico illecito e di tutte le implicazioni correlate.
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Testo a cura di: Alessandra Menegazzi, conservatrice del Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte; Monica Salvadori, Monica Baggio, Luca Zamparo, Progetto MemO - Dipartimento dei Beni Culturali
Bibliografia
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(contiene un paragrafo dedicato al Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte).
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Zamparo L., 2000 - "L’ho trovato in soffitta!". In “Journal of Cultural Heritage Crime”, 25 giugno 2020
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Zamparo L., 2020 - "Portiamolo al Museo!. Brevi raccomandazioni per ritrovatori e collezionisti inesperti". In “Journal of Cultural Heritage Crime”, 9 settembre 2020 https://www.journalchc.com/2020/09/09/portiamolo-al-museo/